Look in my eyes
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code by phoebe'

Quando fioriscono le Aquilegie

Parole al vento:
La verità è che non sono mai stata brava a concludere le cose.

Ad iniziarle: quello mi è sempre riuscito bene, poi però rimanevano sempre là, a guardarmi, a chiedermi perché la loro vita fosse rimasta in sospeso.

Poi ho capito che forse ero io, ad essere in sospeso.

Così ho iniziato a scrivere di momenti sospesi nella realtà, sospesi nel tempo...

...che possono essere accaduti...
...stare accadendo...

...o potranno accadere...
...o non accadere mai...

I personaggi di queste storie non hanno un nome e non sono introdotti in specifici luoghi, semplicemente perchè ognuno di essi può essere chiunque, in dipendenza della mente che lo legge o del momento della vita in cui viene letto. Sono tutti stralci di anime che vivono in chiunque legga di loro, non hanno bisogno di nomi nè di luoghi: sono chiunque e sono ovunque.

Inoltre, ogni titolo, di ogni storia, riprende delle frasi da alcune canzoni de "le luci della centrale elettrica".
  1. Vite stravolte, braccia ancora aperte, città da lasciare, i lineamenti cambiare

    AvatarBy weitwegvonhier il 30 Oct. 2015
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    Per tutta la vita aveva creduto nel colpo di fulmine, in quel magico momento in cui la verità di ciò che sei ti viene addosso con violenza inaudita e tu ci sbatti contro e ti ci rompi il naso.
    Colpo di fulmine, sì, per sé stessa: l'unica persona di cui, nonostante i vent'anni passati a discuterci -la maggior parte del tempo-, ad odiarla e provare ad amarla...ancora non aveva capito un cazzo.
    Il suo fragile equilibrio psicologico si divertiva immensamente a prendersi gioco di lei e passava dall'essere tremendamente felice all'essere indissolubilmente depressa il minuto dopo. Certo, era difficile starle accanto: un momento sorride, l'altro nasconde le lacrime e il momento dopo ancora è arrabbiata per chissà che cosa e chissà con chi.
    Apprezzava molto, per questo, le persone che le stavano accanto. Il suo pensiero ricorrente era che lei non ce l'avrebbe fatta, a stare accanto a sé stessa e ringraziava che ci fossero persone migliori di lei, per questo “compito”.
    Era matta da legare, psicologicamente parlando: un tuffo nella sua testa avrebbe spaventato -o commosso- anche il più impavido dei cuori.

    Immaginate un castello immenso, sulla cima di un dirupo ed un paesaggio meraviglioso tutt'intorno: il sole che tramonta dietro al castello e che dipinge il cielo e le nuvole di colori mozzafiato, il prato e la natura, il mare inquietante e meraviglioso al tempo stesso proprio sotto i tuoi piedi che se fai un passo sei salvo e quello dopo chissà.
    Ecco, immaginate bene questa scena e tenetela bene impressa nelle mente.
    Da qui, da questo punto, iniziamo a raccontare la sua storia. La storia nella sua testa, quello che è accaduto, quello che c'è stato, fino ad arrivare a quello che c'è.
    Un giorno la principessa del castello si affacciò alla finestra: era triste e malinconica, si sentiva sola in quell'immenso castello, circondato solo dall'orizzonte.
    Aveva tutto e non aveva niente, la principessa.
    Aveva il mondo per sé ma “che me ne faccio del mondo se i miei sono gli unici occhi lo possono vedere?” chiedeva sempre, la principessa. “Posso dire che gli uccelli sono creature orribili, ma che lo dico a fare se accanto a me non c'è nessuno che mi guarda con aria contrariata esponendomi la tesi secondo cui gli uccelli sono tra le creature più pure e meravigliose che possano esistere? E che me ne faccio di un intero castello se non ho nessuno con cui giocare a nascondino? E che me ne faccio del tramonto, se non ho nessuno con cui guardarlo?”
    La principessa aveva tutto e tutto le mancava.
    Un giorno, proprio quel giorno in cui la principessa si affacciò alla finestra, iniziò un forte temporale. Era uno di quelli che promettevano un gran baccano per un'intera nottata ma che la mattina dopo lasciavano il profumo della pioggia tutt'intorno ed i fiori circondati da piccoli arcobaleni provocati da quelle goccioline che, ancora nell'aria, incontravano la prima luce del mattino...

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    Last Post by weitwegvonhier il 30 Oct. 2015
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  2. e sempre come un amuleto tengo i tuoi occhi nella tasca interna del giubbotto

    AvatarBy weitwegvonhier il 26 Oct. 2015
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    E’ incredibile come sembrasse che tutti attendessero una risposta da lei. Perché questo, perché quello, come fai, cosa fai, come stai.
    Le persone erano brave a far domande, le dispiaceva che non fossero altrettanto brave a darsi delle risposte perché lei proprio, non aveva idea di cosa gli altri volessero sentirsi dire. Che cosa volevano da lei?
    Guardava il sole tramontare e l’unica cosa che le veniva in mente era che non sapeva niente, non aveva capito niente di questa stupida vita. Aveva voglia di urlare al mare, al cielo, al mondo e all’universo…a loro che non capivano, che non lo sapeva! Non riusciva a darsi una dannata spiegazione del perché le cose andassero in un certo modo, piuttosto che in un altro.
    «La verità è che non so perché sono quel che sono.»
    Ma la voce uscì in un soffio che si disperse nell’aria. Come un bacio dato con le labbra su una mano e soffiato via, che si disperdeva nell’immensità del cielo e non sapevi mai se un giorno sarebbe arrivato, così la sua voce si disperse nell’aria e nell’acqua che stava sotto di lei e nel cielo e nelle nuvole e in quegli ultimi raggi di sole.
    Guardava le pillole nella sua mano, se le rigirava tra le dita e poi le guardava di nuovo. Guardava l’acqua, giù, e pensava che amava quella città, o forse la odiava. Non era più neanche sicura di quello che provasse lei. O non lo era mai stata?
    Il vento tra i capelli, gli occhi chiusi, inspirava quell’aria e si domandava…no, non ne aveva più la forza.
    Arrivò ad una conclusione definitiva, secondo la quale alle domande, per loro natura, non apparteneva alcuna risposta precisa, o meglio, le risposte erano chissà dove sparse per il mondo e lei, dal canto suo, era stanca di cercarle.
    Niente più domande: niente più “gli piacerò se…” o “se mangio questo poi…”, le sue risposte potevano essere ovunque o da nessuna parte, chi avrebbe potuto dirlo?
    Era così presa da quei dubbi, da quelle incertezze, da quelle miriadi di cose che l’avevano resa così sola, da non rendersi conto che stava lasciando l’unica persona che non gli faceva domande.
    Di nuovo il suo sguardo si posò su quelle pillole: bianche, tonde…perfette.
    E se le risposte che abbiamo cercato dentro ai cassetti, sotto al letto, nell’armadio, dietro ad un albero, talvolta nel cielo o talvolta sotto terra…in realtà si trovassero semplicemente in una persona?
    E così le tornò in mente il volto di lui e i suoi occhi.
    Avrebbe voluto domandarsi se l’amore fosse quello, se chi ama è colui che da le risposte che hai sempre cercato e se…ma odiava le domande, aveva deciso di non voler avere più niente a che fare con loro.
    Eppure continuava a pensare al suo viso e a pensare ai momenti che avevano passato insieme: al momento in cui pensava di amarlo, a quando l’aveva baciato, a quando gli aveva stretto la mano per la prima volta, al momento in cui se n’era andata…e senza più porsi delle domande ecco che appaiono, come per magia, migliaia di risposte. Dovevi solo scegliere q...

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    Last Post by weitwegvonhier il 26 Oct. 2015
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  3. E le parole di quel giorno mentre ti spogliavi in mezzo ai campi
    saranno argomenti più memorabili dei nostri lunghi abbracci

    AvatarBy weitwegvonhier il 26 Oct. 2015
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    Questa è la storia di una ragazza, una ragazza a caso, tra le molte che si possono trovare in giro per il mondo. Non ha niente di speciale, non ha un nome, non ha un passato, non ha un futuro. Ha solo questa storia, e tante, tante paure.
    Era una bellissima giornata quando scivolò una lacrima sul viso di una ragazza dai capelli rossi, c’era il sole e l’ombra degli alberi era particolarmente confortevole.
    Quel giorno si sentiva come se il mondo fosse troppo pesante e come se girasse troppo velocemente. Non avrebbe saputo dire cosa non andava, ma qualcosa non andava.
    Scese la lacrima, quindi.
    Un ragazzo, uno a caso, che da questo momento entra a far parte della storia, la vede stesa sotto l’albero e le si avvicina. Lei gira il volto quando lo vede, sorride, cerca di nascondere quella stupida lacrima all’angolo della bocca.
    Lui le porge la mano e le chiede se vuole andare a fare due passi. Lei sorride, il sorriso più grande che aveva, prende la sua mano e insieme se ne vanno.
    Si sedettero su una panchina, non molto lontani, ma abbastanza nascosti da sguardi indiscreti, e parlarono.
    Lui la teneva stretta tra le sue braccia e sorrideva, parlando con lei.
    Parlarono a lungo, di tutto e di niente, e si fecero compagnia, e si tenevano abbracciati, perché entrambi ne avevano bisogno.
    Forse iniziò lì, su quella panchina, all’insaputa di entrambi: forse fu lì che iniziarono ad amarsi.
    Last Post by weitwegvonhier il 26 Oct. 2015
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  4. gli strascichi delle nostre ombre lunghe

    AvatarBy weitwegvonhier il 25 Oct. 2015
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    UN GIORNO:



    Eccola là, lei, con i suoi capelli biondi e le sue converse consumate, le mani gelate e la maglietta dei Nirvana nascosta sotto strati di felpe, la matita già un po' colata e gli occhi di quell'incredibile color ametista che quando li guardavi credevi di capire l'infinito e ti chiedevi come fosse possibile che esistesse qualcuno, al mondo, con due occhi del genere e pensavi che quando l'hanno inventata, quando la stavano disegnando, due pietre son cadute dal niente su quel foglio e al suo disegnatore son piaciute tanto che le ha lasciate e ce l'ha disegnata intorno, lei, così bella e così tremendamente in ritardo, come sempre, come ogni mattina, di corsa per prendere quel treno verso la città.
    «Scusi! Mi scusi... Ops, chiedo scusa. Scusate...permesso» e così, come una pallina del flipper, sballottata a destra e a sinistra, tra uomini in cravatta con la loro ventiquattrore e classi di bambini accompagnati dalle loro maestre, saltò sul treno all'ultimo secondo, come succede sempre in quei film americani in cui l'ultimo secondo gioca il ruolo principale di tutta la trama; e così si sentiva, seduta sul sedile blu di quel treno regionale che la portava in città, come se, anche quella volta, avesse tagliato il filo giusto di quella bomba ad orologeria, che segnava gli 00:01 secondi.

    Erano le sette e trenta di un lunedì mattina come tanti e lei stava seduta sul treno, con le sue inseparabili cuffie, mentre Polly risuonava nella sua testa, pronta -anche se mai abbastanza- ad affrontare una nuova giornata di studio, lezioni, professori irritanti e l'orribile pranzo in mensa.
    Fuori il cielo era terso e si preparava una bellissima, freddissima giornata.
    Chiuse gli occhi e si lasciò andare completamente alla musica, cullata dal treno, e le parve di volare, ad un certo punto; le parve che l'anima le si staccasse dal corpo e che andasse per conto suo, che fosse un'entità indipendente e si sentiva leggera e volava, sentiva come se il peso del mondo, per un momento l'avesse abbandonata, come se fosse libera e credette di percepire la felicità ed era tutto bellissimo...e poi la voce della signora che annunciava l'arrivo alla stazione. Tornò in sé all'improvviso e le parve come se una valanga di vita le fosse piombata addosso e si sentiva pesante, come se la stesse portando in braccio, quella vita, in giro per il mondo, e una vita può essere pesante da portare, per una ragazza di vent'anni che non è neanche sicura di volerla.
    Così lei e la sua vita scesero dal treno, insieme ad altre centinaia di persone che si preparavano ad affrontare una nuova giornata: c'erano turisti, studenti, lavoratori, gente che tornava, gente che partiva.
    Le stazioni sono il luogo in cui si può trovare la più grande varietà di vite che s'incrociano le une con le altre, per qualche secondo, talvolta per qualche minuto, pronte poi a separarsi per sempre o...

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    Last Post by weitwegvonhier il 25 Oct. 2015
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